Monete italiane d'Oro - Cofanetto Completo

Monete italiane d'Oro - Cofanetto Completo

COFANETTO COMPLETO DI DUE VOLUMI MONETE ITALIANE D'ORO Autore / Author: L. BELLESIA (a cura di) Volume I°  Pagine / Pages: 320 ... Leggi tutto

Prezzo:
320,00 €

Descrizione

COFANETTO COMPLETO DI DUE VOLUMI

MONETE ITALIANE D'ORO
Autore / Author: L. BELLESIA (a cura di)
Volume I°  Pagine / Pages: 320
Volume II° Pagine / Pages: 296

VOL. I ANCONA - NOVELLARA
VOL. II  PADOVA - VERONA - SAVOIA

I due volumi sono disponibili anche separamente.

Serravalle 2002 (dalla recensione di Marco Bazzini su Panorama Numismatico di gennaio 2003 relativo al I° volume)

Opera indispensabile per il collezionista e per il mercante poiché riporta tutte le monete d'oro italiane con le aggiudicazioni nelle aste internazionali di oltre un secolo.

Con la pubblicazione del fascicolo contenente la descrizione del probabile ongaro fatto battere da Alfonso II Gonzaga nella zecca di Novellara tra il 1650 ed il 1678, incluso all’interno del numero 154 di luglio-agosto 2001 di Panorama Numismatico, si è concluso il primo volume dell’opera a dispense curata da Lorenzo Bellesia, Monete italiane d’oro. Come certamente ricorderanno i lettori che da tempo seguono Panorama Numismatico, il primo inserto del libro, contenente la Presentazione ed una breve introduzione, era stato incluso nel numero 100 del settembre 1996 di questa rivista. Al suo apparire, l’allora nuova iniziativa editoriale scatenò immediatamente una serie di critiche negative, soprattutto da parte di Giuseppe Ruotolo e Mario Traina, per i criteri informativi seguiti dagli Autori (che al tempo figuravano essere, oltre allo stesso Bellesia, anche S. Di Virgilio e F. Grigoli).

In sostanza, cosa veniva contestato da Ruotolo e Traina? Ciò che ai due studiosi era parsa una scelta inappropriata era soprattutto il fatto di aver omesso dal Catalogo tutta una serie di monetazioni che, a loro dire, sarebbe stato invece opportuno inserire: la monetazione aurea longobarda, sia quella sviluppatasi nel nord della penisola che quella emessa nel ducato di Benevento; le monete d’oro bizantine emesse nelle zecche della Penisola; la monetazione, araba prima e normanna poi, dell’Italia meridionale; l’augustale di Federico II di Svevia. In effetti, da un certo punto di vista le argomentazioni portate da Ruotolo (v. recensione in Cronaca Numismatica n. 80 del novembre 1996, pp. 7-9) erano certamente pertinenti. Inoltre, diverse delle monete escluse dal Catalogo, e sto pensando soprattutto a tarì, perperi e augustali, continuarono, per un certo lasso di tempo dopo il 1252, a venire utilizzate e a transitare all’interno dei circuiti commerciali insieme alle nuove monete, e per accertarsene basta controllare le varie pratiche di mercatura del XIV secolo (come p. es. quella del Pegolotti) o di quello successivo.

Ragioni di completezza avrebbero dunque voluto che anche quelle monete fossero inserite nel volume ma, d’altra parte, il 1252 fu effettivamente l’anno in cui, con la creazione del genovino d’oro ma soprattutto del fiorino, si ruppe definitivamente e drasticamente ogni legame con il passato. Ciò che queste monete, alle quali si aggiunse prima della fine del secolo anche il ducato di Venezia, comunicarono ai contemporanei non fu solo un segnale per così dire “numismatico”, ma per le città che le coniarono vollero simboleggiare il loro reale ed enorme potere, economico prima di tutto ma anche politico e culturale. Era, in sostanza, un nuovo modo di pensare quello che si diffondeva parallelamente al corso delle nuove monete auree. Per questi motivi, unitamente al fatto che praticamente da tutti gli studiosi il 1252 è ritenuto essere l’anno decisivo della ripresa definitiva ed irreversibile, in occidente, dell’oro monetato, ritengo personalmente che la scelta operata dagli Autori di Monete d’oro italiane sia stata, in sostanza, pertinente ed appropriata.

Detto questo, ora che il primo volume è stato dunque completato vediamo se le affermazioni programmatiche iniziali, esposte da Bellesia et al. nella Presentazione, e le aspettative dei lettori siano state di fatto rispettate. L’intento dichiarato (pp. 5-6) era quello di fornire una panoramica della monetazione dell’oro in Italia dall’introduzione delle tre classiche monete, genovino, fiorino e ducato fino ai giorni nostri. Vi saranno proposte tutte le emissioni nel metallo giallo delle zecche italiane con brevi introduzioni di carattere storico e monetario . Tutti i tipi monetari vi saranno rappresentati . In questa nostra nuova opera abbiamo cercato di conservarne [del volume di Robert Friedberg, Gold Coins of the World] gli aspetti positivi, soprattutto la praticità e l’utilità, cercando di basare la classificazione e la valutazione su riscontri oggettivi e dimostrabili. Come risultato crediamo di aver raggiunto una certa completezza nell’elencazione delle monete d’oro battute in Italia, pur con le necessarie cautele dovute ai limiti di una simile opera (basterà ricordare che non si è potuto elencare uno ad uno gli innumerevoli stemmi dei fiorini), nonché una certa attendibilità dei gradi di rarità e, di conseguenza, nell’apprezzamento dell’aspetto più schiettamente commerciale .

Diciamo subito che tutti questi impegni ci sembra siano stati assolti, sostanzialmente, in maniera integrale. Quasi tutte le monete, comprese quelle di grandissima rarità, sono effettivamente illustrate con la relativa fotografia o, al massimo, con un disegno. Risultano in assoluto pochissime quelle delle quali non viene fornita un’immagine e in diversi casi ciò è dovuto semplicemente al fatto che si tratta di sottomultipli con gli stessi identici tipi dei nominali maggiori, dei quali è comunque presente la relativa figura. In più, diversi pezzi qui catalogati non risultano censiti nel CNI o nei maggiori repertori di riferimento, come p. es. il ducato attribuito a Giovanni Bartolomeo Tizzone e battuto a Desana (p. 110, n. 7); o lo scudo del 1569 di Alberico I Cybo Malaspina coniato a Massa di Lunigiana, illustrato a p. 226 con il n. 14; oppure il bellissimo doppio ducato di Massimiliano I d’Austria emesso a Modena tra il 1513 ed il 1514 (p. 274, n. 3); ecc.

In alcuni casi, alla luce di più recenti studi, un determinato esemplare viene chiamato con un nome maggiormente appropriato rispetto a quello assegnatogli nel Corpus, oppure ne viene rettificata l’attribuzione. Di diversi pezzi unici viene infine fornita, per completezza di informazione, anche l’odierna ubicazione. La scelta di non dare indicazioni di massima del valore delle monete ma, piuttosto, di affidarsi al reale andamento del mercato, registrando le stime e le aggiudicazioni dei vari esemplari nei passaggi in aste pubbliche, ci pare poi ottima. Il dato o, meglio, i dati così offerti (visto che di tante monete sono elencate numerose apparizioni in altrettante aste e listini di vendita) si mostrano in questo modo molto meno falsati di quelli contenuti in altri cataloghi, compilati senza dubbio in maniera maggiormente approssimativa. Appaiono in tal senso clamorose le indicazioni di un recentissimo e affermato prezziario nel quale le quotazioni di alcuni rarissimi nominali della zecca di Modena, come appunto il doppio ducato dell’imperatore Massimiliano I appena sopra citato, sfiorano l’assurdo: si pensi che alla detta moneta, venduta nel 1983 per 250.000 Franchi svizzeri e conosciuta peraltro in quel solo esemplare, è attribuito un valore di 600 Euro in conservazione M (mediocre?) e 8000 Euro in conservazione SPL.

La ricerca svolta dagli Autori attraverso l’esame minuzioso dei listini di vendite all’incanto si rispecchia altresì nei gradi di rarità, poiché è indiscutibile il rapporto, quantunque empirico ed assai approssimativo, che intercorre tra il numero di volte che un certo tipo di moneta viene posta in vendita ed il numero di esemplari oggi esistenti. Fino a qui, dunque, non ci sarebbe nulla da eccepire e, per quanto detto sopra, l’Opera si rivela assolutamente indispensabile come vademecum (anche se non propriamente di formato tascabile) per tutti i commercianti del settore dato che esso è veramente pratico e con valutazioni oggettive e minuziose. E per gli stessi motivi, oltre che per la sua completezza per ciò che riguarda questo specifico tipo di monetazione, non dovrebbe mancare nemmeno nella biblioteca dei collezionisti ed appassionati.

Tuttavia, alcune modeste imperfezioni e lacune ne diminuiscono, per il momento, la praticità e facilità d’uso, riducendone altresì la fruibilità da parte dei raccoglitori meno esperti. Innanzitutto colpisce la stringatezza delle schede dove, oltre ad una alquanto schematica descrizione dei tipi, manca, tranne che per alcune sporadiche eccezioni, l’indicazione, ancorché di massima, delle leggende di diritto e rovescio. E si sa come queste possano aiutare nell’individuazione di una moneta, soprattutto i più inesperti. E’ d’altro canto evidente come questa sia stata una ben precisa scelta editoriale, come il tipo di impaginazione o l’utilizzo del bianco e nero piuttosto che del colore per le immagini, ma ciò non toglie che, di fatto, la riproduzione delle scritte incise sulle monete avrebbe reso l’Opera senz’altro più piacevole ed interessante.

L’augurio è che alla fine dei volumi sia previsto l’inserimento di un indice delle leggende che consenta di risalire, partendo dal dato epigrafico, alla relativa moneta e alla sua zecca. Mettendoci nei panni di un principiante che sfogli il presente Catalogo, ci chiediamo inoltre quale differenza ci sia tra le monete indicate come scudi, quelle chiamate scudi d’oro ed altre segnalate come scudi del sole. E tra un fiorino ed un fiorino di camera? E perché chiamare una moneta scudo ed un altra mezza doppia, se la doppia valeva due scudi? O, ancora, c’è discordanza tra l’ongaro e l’unghero, visto che nel testo i due nomi sono usati, pare, indifferentemente? E poi, la doppia da due e la quadrupla sono forse nominali diversi? E tra un ducato ed un ducato papale che differenza c’è? Ma allora, non sarebbe stato forse meglio, per nominali equivalenti, usare un solo ed univoco termine e spendere inoltre due righe anche per spiegare, sempre a chi si avvicini ignaro alla numismatica, il perché di quei nomi dati a certe monete. Ma anche in questo caso si tratta di un’imperfezione facilmente superabile, e un glossario in calce all’Opera non potrà che aumentarne il già considerevole pregio.

Un’altra mancanza, anch’essa però non definitiva e colmabile con l’introduzione di grafici e tabelle comparative che, p. es., illustrino la caduta di peso e fino dei vari nominali nel tempo, è l’assenza di ogni riferimento ai pesi delle differenti specie monetarie: notizia molto utile per il collezionista, ma in modo particolare per il commerciante. Alcuni refusi tipografici avranno poi bisogno di una errata-corrige, come l’inserimento dell’immagine di un cavallotto di Francesco I re di Francia incluso per errore tra la monetazione del doge genovese Antoniotto Adorno (p. 158, n. 59). Altro aspetto che, quando l’Opera sarà terminata, necessiterà di una revisione sarà probabilmente la bibliografia utilizzata. Dall’inizio della pubblicazione in fascicoli nel 1996, infatti, sono stati editi diversi studi monografici su singole zecche, impostisi successivamente come testi di riferimento per le corrispondenti officine monetarie. Come ad esempio il saggio dello stesso Lorenzo Bellesia sulle monete di Federico Landi, e nel quale lo studioso ha oramai irrevocabilmente stabilito, sulla scorta di nuova documentazione d’archivio, l’inesistenza di una zecca nella cittadina di Bardi, spostando tutta la monetazione del principe di Val di Taro in quella di Compiano (L. BELLESIA, Le monete di Federico Landi principe di Val di Taro, Astarte Edizioni, Viadana 1997).

E ancora di Bellesia è uno studio sulla monetazione di Ferrara del quale finora è stato pubblicato il primo volume, attinente al periodo comunale ed estense (L. BELLESIA, Le monete di Ferrara. Periodo comunale ed estense, Nomisma Editore, Serravalle 2000). Oppure, per quanto riguarda le diverse zecche attive in quello che fu il l’antico ducato di Urbino (Castedurante, Fossombrone, Gubbio, Pesaro e Senigallia, oltre alla stessa Urbino), si veda ora il volume di A. CAVICCHI, Le monete del Ducato d’Urbino da Guidantonio di Montefeltro a Francesco Maria II Della Rovere, a cura dell’ASSOCIAZIONE PRO URBINO, Sant’angelo in Vado 2001. E quello dell’apparato bibliografico e delle relative citazioni all’interno delle schede è un altro aspetto di Monete italiane d’oro che in futuro avrà sicuramente bisogno di essere maggiormente curato, eliminando generici riferimenti del tipo “il Promis segnala che...” (ma quale Promis? Vincenzo o Domenico? E in quale saggio?); oppure frasi come “la tale monete è nota solamente da una citazione del Ruggiero” (chi è questo Ruggiero? E dove ha pubblicato la moneta in questione?); o anche accennare, senza poi indicarne il titolo per intero, ad uno specifico testo, come nel caso de “lo studio di Mario Rasile del 1978” (qual è questo studio?). In altre occasioni l’indicazione bibliografica manca invece completamente, come per quanto concerne Fogliavecchia e Metelino dove nondimeno poteva essere dato il riferimento al volume di D. M. METCALF, Coinage of the Crusades and the Latin East, London 1995, oppure, trattandosi di imitazioni del ducato di Venezia, poteva venire utilizzato l’ormai “classico” lavoro di C. GAMBERINI DI SCARFÉA, Le imitazioni e le contraffazioni monetarie nel mondo, parte III, Bologna 1956.

Anche per quanto riguarda Gaeta non viene fornito nessun rimando bibliografico se non, appunto, allo studio di Mario Rasile del 1978. Tutte queste piccole imprecisioni presenti nel primo volume di Monete d’oro italiane, lo ripetiamo, sono comunque facilmente rimediabili, dotando l’Opera di tutta una serie di indici e di apparati che diano, a chi consulti i volumi, quella serie di notizie supplementari ma importantissime che abbiamo elencato, consentendo anche una più rapida individuazione della moneta ricercata, partendo magari semplicemente dal peso o da alcune lettere delle leggende. Se queste ulteriori aspettative saranno infine appagate (ma vista la serietà della Casa Editrice e la competenza del curatore crediamo che quanto sopra evidenziato sia comunque già nei piani degli Autori), l’Opera Monete d’oro italiane non potrà allora che divenire un testo fondamentale di ricerca e consultazione. Non ci rimane quindi che aspettarne fiduciosi la conclusione.